20 marzo 2025
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Lo Studio Legale Greenberg Traurig , in collaborazione con 24ORE Business School , ha
...In questo articolo esploreremo con Alessandro Montanari, Chief People Officer LUISAVIAROMA e docente di 24ORE Business School, le caratteristiche chiave della leadership che ci permetteranno di distinguere un autentico capo, capace di ispirare, guidare e ottenere risultati straordinari dal proprio team.
Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti.
Quante volte questa frase del maestro Paolo Conte ha risuonato nella mia testa in tutti questi anni di (speriamo) onorata carriera nel mondo delle organizzazioni e delle risorse umane.
In un contesto di incessante cambiamento, l’accettazione dell’errore non solo è una dimostrazione di umiltà ed intelligenza, ma è anche, dal mio punto di vista, la chiave dell’innovazione e dell’evoluzione organizzativa, che non può mai esimersi da flessibilità e improvvisazione creativa.
Evitare schemi rigidi, superare pianificazioni e programmi iper-analitici e bloccanti, eliminare ruoli e mansioni prescrittive e procedure cervellotiche: questi gli imperativi categorici per l’esercizio di una buona leadership contemporanea.
Il che, se ci fate caso, ci porta nei dintorni delle filosofie Agili che trovano fertile terreno dove germoglia una cultura sociale che non demonizza l’errore e che anzi stimola ed incentiva le persone a commettere anche qualche sbaglio nella continua ricerca di nuove strade inesplorate.
Ma non è forse questa la medesima cultura che permea la musica jazz?
I gruppi jazz di fatto sono organizzazioni progettate per creare innovazione.
Emblema del jazz sono le jam sessions, spazi di collaborazione tra musicisti che si ritrovano a suonare scambiandosi nuove idee e collaudando nuovi schemi. I musicisti jazz devono saper adottare azioni e iniziative senza avere mai la garanzia di riuscita, basandosi su informazioni imperfette, incomplete, facendo propria l’arte di imparare contestualmente all’azione.
Nel jazz, pertanto, leadership significa rinunciare al sogno utopistico della certezza, lasciandosi trascinare dal groove, agendo prima e riflettendo solo poi sulle conseguenze dell’azione.
I leaders jazz si affidano all’improvvisazione, affrontano le sfide da diverse angolazioni e creano il contesto di caos organizzato che mette gli altri musicisti nel giusto mood per non scegliere necessariamente le risposte più facili ma cercare quelle più funzionali al momento.
Non vivono con l’ansia di controllare gli ostacoli ma aprono delle nuove prospettive, ponendo dei quesiti che alimentano nuove possibilità.
Ecco un punto fondamentale per la leadership organizzativa: porre delle domande potenti, uscire dallo stereotipo del manager che basa il suo ruolo sul comando e controllo, andare verso un nuovo modello manageriale che incoraggi un processo continuo di apprendimento e innovazione.
E, come dice bene John Dewey, l’apprendimento più autentico è sempre un’esperienza collaborativa, un momento democratico di partecipazione.
Per cui, mi chiedo, dopotutto, se sia ancora corretto enfatizzare la dimensione individuale della leadership, se non si debba invece valorizzare sempre più la leadership come processo di auto-organizzazione di un gruppo, di un sistema dove il controllo è distribuito e decentrato, dove tutti possono, anzi devono, essere di volta in volta solisti e spalle, leaders e gregari.
Torniamo sempre quindi al modello dei gruppi jazz ma anche a quello dei team Agile, con il loro funzionamento basato sui principi di autonomia condivisa, il loro approccio adattivo più che ostinatamente predittivo, alla loro cultura di collaborazione e rispetto reciproco e, soprattutto, alla loro accettazione incondizionata dell’altro e dell’errore.
Gli “Agilisti”, come i jazzisti, credono che in ogni circostanza possano esserci strade potenzialmente innovative, che permettono a ciascuno di poter “andare oltre”: oltre ai propri limiti, ai propri condizionamenti, alle proprie paure e attaccamenti.
In questi contesti, chi esercita, anche solo momentaneamente, la leadership, aiuta il gruppo a trovare un equilibrio tra ordine e disordine, una sorta di integrata instabilità (o disintegrata stabilità).
Uno dei più grandi geni e leader del jazz, Miles Davis, diceva che “è sbagliato che non facciamo errori”.
Un altro grande musicista come Herbie Hancock ricorda, a proposito di Miles, che dopo averlo sentito suonare un accordo sbagliato rispose semplicemente facendo, a sua volta, un assolo intorno alle note sbagliate, creando in tal modo una inaspettata nuova armonia e bellezza musicale.
Questo deve fare un vero leader: non rinfacciarci gli errori, incolparci, limitare la nostra creatività ma aiutarci, con l’esempio, a capire che ogni situazione negativa può essere trasformata in una situazione positiva e momento di apprendimento e di crescita.
Un leader agile ante litteram come Michel de Montaigne ci invitava a coltivare l’imperfezione: ecco, secondo me la leadership è esattamente questo, creazione di spazi liberi, orientati da poche, condivise e chiare regole del gioco, entro i quali ciascuno di noi possa trovare il coraggio e la gioia di essere, pienamente, sé stesso.
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