SAM HABIBI MINELLI

25 gennaio 2022

Big Data nel settore dell'Arte e della cultura

Sam Habibi Minelli risponde alla rubrica Chiedimi Cos'è? sul tema dei Big Data e Intelligenza Artificiale per l’Arte e la Cultura

Scopri come Big Data e Intelligenza Artificiale ricoprono un aspetto fondamentale nel mondo per l’Arte e la Cultura.

Che ruolo hanno oggi i Big Data nel settore dell'Arte e della cultura?

Nel breve orizzonte temporale, le tecnologie di elaborazione dei big data (tra cui: open data, testi, documenti, media, filmati, fotografie, meta dati associati a schede catalogo, etc.) consentiranno, in ordine:

  • una migliore interconnessione tra i dati dei diversi istituti (gli istituti culturali non sono più silos isolati ma possono collegare le loro risorse in reti come hanno fatto gli istituti del Polo Digitale di Napoli [http://www.polodigitalenapoli.it/]);

  • l’innovazione nei processi di catalogazione (attraverso tecniche di elaborazione linguistica NLP, combinata con processi di digitalizzazione e riconoscimento ottico OCR, di estrapolazione della conoscenza NLU e generazione di testo NLG);

  • avvio di nuovi studi e ricerche multidisciplinari (combinando fattori sociali, storici, economici, letterari, filosofici) con modelli di analisi olistici;

  • nuove produzioni culturali (studi, ricerche, guide, analisi) e nuove opportunità per l’industria creativa (editoria) e collaborazioni pubblico-privato;

  • maggiore accessibilità ai beni culturali e alla conoscenza per pubblici generici, famiglie, studenti, operatori e professionisti della cultura;

  • nuove competenze professionali umanistico-tecniche sia per l’analisi, la modellazione, la valorizzazione, la narrazione, l’audience development;

  • la cabina di regia culturale: piattaforma che consente all’istituto di gestire il proprio asset culturale immateriale, veicolarne parti verso apparati e dispositivi indoors/outdoors, gestire il sito on-line, proporre campagne crowdfunding, gestire azioni SEO, social marketing,

newsroom, eventi, streaming di concerti, APP, guide;

  • nuove sperimentazioni culturali, creative, tecnologiche, imprenditoriali sia da parte di operatori GLAM che da start-up (audio-video guide multimediali personalizzate, esperienze AR, VR, Mixed Reality, ologrammi, utilizzo di IoT, droni, video 360°, 3DPrinting, Non Fungible Token o NFT, fake detection, recupero di furti di opere, sentiment analysis, etc.).

  • Nel medio-lungo orizzonte temporale: l’utilizzo e la produzione di nuovi dati e di

    correlazioni tra dati richiederà:

    • sistemi di assistenza al visitatore: riconoscere se il visitatore sia stanco, annoiato, infastidito etc. e supportarne le richieste di informazioni;

    • aggiornamento degli standard di catalogo;

    • la messa in atto di politiche di sicurezza-conservazione del digitale (come asset culturale: back-up, migrazione da obsolescenza tecnologica disaster recovery, privacy, rights management, etc.);

    • integrazione in reti di reti: smart-city, e-government, e-learning, PA;

    • produzione di nuove norme nazionali / Europee: per combattere le fake news e fake data, per contrastare la violazione dei diritti intellettuali (e.g. plagio), aspetti di monetizzazione dei diritti intellettuali dei creativi (NFT), aspetti di etica nell’utilizzo degli algoritmi di

    intelligenza artificiale.

    Chi è il Data Scientist culturale?

    Data Science è una disciplina [1] per gestire dati prodotti in diversi formati (testi, audio, video, numerici, etc.) e comprende la ricerca multidisciplinare (umanistica, sociologica, matematica a statistica, da scienza dell’informazione a informatica, marketing), l’elaborazione o utilizzo di modelli e dati, visualizzazione e narrazione dell’insight raggiunto. In base al contesto operativo, il data scientist culturale sviluppa competenze specialistiche verso aspetti che possono essere di business intelligence o verso aspetti tecnici (es. per l’analisi di correlazioni tra vaste raccolte di documenti) o culturali (es. per la creazione di antologie tematiche scolastiche). I Data Scientist culturali non hanno l’obiettivo di sviluppare algoritmi che invece sviluppano i data architect e data engineer, devono piuttosto sviluppare la capacità di comprendere ‘cosa’ cercare nel pagliaio di dati, comprendere il contesto in cui operano. Ad esempio, se il contesto è l’audience development, i dati possono aiutare a segmentare gli utenti; se il contesto è SEO-culturale, i dati aiuteranno a comprenderne il sentiment dei social rispetto ad un evento o mostra; se il contesto sono le aste d’arte, i dati aiutano nelle stime di

    valutazione di opere ed artisti, nell’analisi degli indici come il LIBOR o indici di mercato primario e secondario.

    In pratica, il Data Scientist culturale acquisisce e consolida, le seguenti competenze:

    • conoscenza dei processi di sistema del contesto in cui opera

    • esperto dei modelli e delle applicazioni e dei limiti dei formati di dati (testuali, numerici, tabelle) e delle logiche di analisi da applicare ad essi

    • esperto dei modelli di rappresentazione, visualizzazione

    • ottima capacità di comunicazione, narrazione, sintesi

    • conosce i dati, il modo in cui sono generati, il ‘rumore’, grado di accuratezza / affidabilità

    • è esperto dei bias cognitivi (sampling bias, visualization distortion etc.)

    • è esperto di tecniche di ipotesi e test (Es. A/B test)

    • ha una buona formazione umanistica che capitalizza acquisendo competenze statistiche, visuali e comunicative

    • ha una spiccata ed insaziabile curiosità

    • Ha un background umanistico con approfondimenti basilari di statistica e di visualizzazione dei dati

    Collabora con:

    • software developers

    • data engineer

    • architecture engineer

    • business strategists

    Prospettive: la professione di data scientist è una professione che è nata nell’ultimo decennio quindi, ci si può aspettare una domanda crescente per questa professione, con una barriera di ingresso attuale abbastanza bassa, per chi si impegnasse a colmare le proprie lacune con costanza.

    Che importanza ha avuto l'innovazione tecnologica nel settore dell'Arte?

    L’innovazione tecnologica può essere osservata in termini di strumenti al servizio dei professionisti e del mercato, alcuni esempi:

    le case d’asta e gallerie hanno mostrato negli ultimi anni di essere i soggetti che più si sono attrezzati di nuove tecnologie (una per tutte: aste in streaming) e di nuovi profili professionali (data scientists per analizzare la reputation di artisti e stimare opere, verificare attribuzioni, analizzare prezzi e mercati).

    I grandi archivi (ad esempio l’Archivio Centrale dello Stato di Roma e gli archivi periferici, la PA culturale), musei e biblioteche hanno un bisogno impellente di infrastrutture innovative in cloud (meno onerose e più sicure di quelle on premise) con piattaforme in grado di digitalizzare interamente tutti i flussi correnti: catalogare (in modo automatico/semi-automatico) le loro raccolte, generare metadati gestionali secondo le norme degli istituti centrali (ICCU, ICCD, ICAR), collegare le informazioni, renderle i servizi di ricerca efficienti, sicuri, accessibili, che permettano una migliore interoperabilità dei cataloghi di vari istituti assicurando la conservazione digitale (contro lo spettro dell’obsolescenza tecnologica e dei supporti di memoria).

    Quali sono le opportunità?

    L’industria creativa si trova di fronte a grandi opportunità rispetto alle tecnologie che sfruttano i Big Data e l’IA nel prossimo futuro. Non avendo effettuato, fino a oggi, investimenti in grandi sistemi (‘sunk cost fallacy’ [2]), possono ricorrere agilmente a società IT capaci di fornire, chiavi in mano, piattaforme Semantic DAM e APP specialistiche pronte e complete (magari in-cloud come Platform as a Service (PaaS) o addirittura Everything as a Service (XaaS)). In poco tempo, scegliendo operatori che hanno comprovata esperienza, possono ottenere la messa in opera di Musei Virtuali, Cataloghi editoriali, Archivi e Biblioteche 4.0: attraverso piattaforme che dispongono di a) un back-office per riprodurre e catalogare il cartaceo d’archivio in digitale; gestire le utenze; amministrare bolli digitali e cassa; effettuare monitoraggi e controlli etc. b) un front-office a cui accedono in diverso modo e diversa urgenza gli utenti (cittadini, imprese, altri istituti culturali) per accedere, leggere, interagire, utilizzare per pubblicazioni in licenza, chiedere informazioni, disporre di assistenti automatici intelligenti, cercare con motori predittivi, etc ‘All in one’ per l’interazione e accessibilità di tutta l’utenza verso la cultura.

    Come migrare i servizi verso tali piattaforme intelligenti?

    Le procedure di digitalizzazione non devono alterare, almeno inizialmente, il flusso organizzativo degli istituti culturali, di editori, biblioteche e musei. La migrazione dei dati è la parte più delicata e richiede la collaborazione tra istituti e imprese IT. La formazione del personale interno con nuove competenze (es. data scientists, catalogatori, manager

    culturali, ma non solo) è parte fondamentale del processo di trasformazione [3]: digitalizzare un documento non è come fotocopiarlo; catalogare un documento richiede competenze umanistiche e conformarsi agli standard di catalogo nazionali (es. ICCU, ICCD, ICAR) ed è indispensabile una scelta PaaS/XaaS per gestire il passaggio e infine sfruttare moduli che traducano i dati in esperienze di engagement nuovi ( (sia per il personale interno che per gli utenti finali).

    Sam Habibi Minelli è un docente di 24ORE Business School, è laureato in ingegneria elettronica a Padova. Ha oltre 20 anni di esperienza in fundraising, progettazione, gestione, realizzazione e controllo di progetti di ricerca finanziati dalla comunità Europea e nazionali per il settore dei beni culturali.



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